Relazione introduttiva sul tema del convegno
ANTONIO RUSCONI
(Segretario Generale dell’Autorità di Bacino dei fiumi Isonzo, Tagliamento, Livenza, Piave,
Brenta, Bacchiglione)
Grazie, grazie Maria Rosa e buongiorno a tutti. La mia relazione porta lo stesso titolo del convegno,
in quanto vuole fare una panoramica complessiva sulle problematiche, sulle caratteristiche di questo
fiume, di questo bacino idrografico, e sulle scelte che l’Amministrazione Pubblica va facendo per
affrontare alcuni problemi. Partiamo da due recenti importanti notizie sul futuro del Piave,
La prima è la Delibera della Giunta Regionale del 22 giugno scorso, con la quale la Regione ha dato
avvio delle procedure per la redazione del Progetto di Fattibilità per la messa in sicurezza idraulica
del medio e basso corso del Piave.
La seconda notizia importante, qualche mese dopo, in novembre, il quotidiano “La Repubblica”,
pubblicava un’intervista a Erasmo D’Angelis, coordinatore di “Italia Sicura”, che è la struttura di
missione della Presidenza del Consiglio e che ha incluso le casse di espansione, esplicitamente alle
Grave di Ciano, fra le opere necessarie a difendere l’Italia da alluvioni e frane. Lui dice “i soldi ci
sono, ma mancano i progetti”, e qui in basso a sinistra vedete che l’accantonamento, la stima è di
130 milioni di euro.
Queste sono le due notizie così, che, secondo me, sono il motore dell’incontro di oggi, perché?
Perché non c’è ombra di dubbio che oggi qualsiasi azione, qualsiasi intervento per la difesa dalle
piene va coniugato con la tutela dell’ecosistema fluviale nella sua complessità. E allora questo
sposalizio, questo importante collegamento deve partire da due fondamentali direttive comunitarie:
La Direttiva Quadro Acque del 2000, la 2060;
La Direttiva Alluvioni del 2007, 60.
La prima, la Direttiva Quadro Acque, noi in Italia l’abbiamo recepita 6 anni dopo, con il Testo
Unico sull’Ambiente, che è stato, in parte, aggiornato, nel 2015, con il cosiddetto “Collegato
ambientale”.
La seconda direttiva, la Direttiva Alluvioni, è stata recepita, anche questa con un po’ di anni di
ritardo, col Decreto Legislativo 49 del 2010.
Quali sono gli aspetti fondamentali della Direttiva Quadro Acque del 2000?
Intanto considera tutte le acque, tutte, quindi: le fluviali; le lacuali; le acque di transizione; le
costiere; le sotterranee.
Poi fissa dei parametri e degli obiettivi di qualità, entro il 2015, diceva la Direttiva, lo stato
ecologico di tutte le acque doveva essere buono, secondo una graduatoria, in termini di qualità
biologica, di qualità chimico-fisica, di qualità idro morfologica. Questa è anche la definizione di
stato ecologico dell’acqua.
La Direttiva ha previsto un importantissimo strumento per fissare i programmi, le azioni e le
misure. Il Piano di gestione dei bacini idrografici, è un Piano che si aggiorna ogni 6 anni e nella
fattispecie qui nel nord-est, quindi anche nel Piave, un primo Piano di gestione è stato fatto nel
2010, il secondo, aggiornato, quindi il secondo ciclo, l’anno scorso nel 2016, ed è stato approvato
qualche giorno fa con Decreto del Presidente del Consiglio in Gazzetta Ufficiale, la prossima
edizione sarà nel 2021.
Quali sono le caratteristiche della Direttiva Alluvioni, la 2007?
Anzitutto si pone come obiettivo la riduzione delle conseguenze negative, sulla salute umana,
sull’ambiente, sul patrimonio culturale, sulle attività economiche.
Si occupa di tutti gli aspetti della gestione del rischio alluvioni, quindi la prevenzione, che sono le
pratiche sostenibili in uso del suolo; la protezione, che sono le opere, quelle, chiamiamole, tradizionali, di ritenzione delle acque, di inondazione controllata di certe aree, e la preparazione. La
preparazione sono le allerte, i monitoraggi, la protezione civile.
Anche questa Direttiva, la Direttiva Alluvioni, prevede un Piano di gestione, e si chiama “Piano di
gestione del rischio di alluvioni”, anche questo si rinnova ogni 6 anni, e nel 2016 abbiamo quello
nuovo, quello approvato in Gazzetta Ufficiale, qualche settimana fa.
Le due Direttive sono strettamente collegate, dice la Direttiva Alluvioni, la seconda, che
“l’elaborazione dei Piani di gestione del bacino idrografico, e l’elaborazione dei Piani di gestione
delle alluvioni, rientrano nella Gestione Integrata dei bacini idrografici”.
Queste che vedete qui a sinistra sono delle linee guida, proprio che specificano, analizzano e
descrivono questo collegamento, ormai, inscindibile fra la difesa idraulica e la tutela dello stato
ecologico dei corpi idrici.
Sono molti i fattori diciamo in comune di questi due Piani, di questi due percorsi, sicuramente, per
esempio, una è la Governance; l’altra è la Valutazione Ambientale Strategica Statale; l’altra è la
Partecipazione Pubblica, di cui vediamo qui uno schema e infine, come ricordavo prima, la Ciclicità
dei 6 anni, cioè ogni 6 anni questi due Piani vengono aggiornati.
Gli esempi della unicità della questione acqua, del problema acqua, della gestione dell’acqua sono
molti, vediamo cosa. Per esempio, la gestione dei serbatoi riguarda sia l’acqua come risorsa, l’acqua
come qualità, ma l’acqua anche come piene; il prelievo di inerti dagli alvei fluviali, un altro aspetto
fondamentale, i cui effetti si fanno risentire in ogni ambito; la qualità delle acque delle piene, per
esempio, è un altro aspetto. Ma ce ne sono molti altri.
Vediamo il primo di questi Piani, il Piano di gestione del bacino idrografico del Piave. Ricordavo
prima che è del 2010, anzitutto individua e classifica quali e quanti sono i corpi idrici del bacino del
Piave, qui nella mappa li vediamo, anzitutto sono 209, sono stati definiti. Qui nella cartina vediamo
in diversi colori quelli che non sono a rischio di raggiungimento degli obiettivi di qualità, sono
quelli azzurri, quelli arancioni sono quelli probabilmente a rischio, quelli rossi sono i corpi idrici a
rischio. Per alcuni l’obiettivo ecologico era di buono al 2015, per altri, con una proroga, e vedremo
il giochino delle proroghe e delle deroghe, il raggiungimento dello stato ecologico buono è stato
prorogato al 2021. Ma poi questo Piano di gestione del bacino idrografico del Piave ha analizzato
altre cose che qui adesso non andiamo a vedere nello specifico: le pressioni, impatti delle attività
umane; gli obiettivi e le misure.
C’è una particolare attenzione alle aree protette; per il consumo umano; la protezione di specie
acquatiche; le acque per scopi ricreativi; i parchi; habitat di Natura 2000, ecc.
Le misure. Le misure, quindi fondamentali, le misure di questo Piano. Le misure sono definite
misure di base e misure supplementari, per il perseguimento degli obiettivi ambientali. Le misure
sono, sostanzialmente, quelle delle altre Direttive, altre Direttive precedenti: acque per il consumo
umano; acque reflue; i nitrati.
Oppure sono misure di altri Piani: Piano di tutela delle acque delle Regioni (Veneto, Friuli, Trento,
Bolzano), oppure il Piano stralcio proprio sul Piave, sulle risorse idriche del Piave, che approvò
l’Autorità di Bacino, una quindicina di anni fa.
La mappa, per esempio, mostra le discariche in tutto il bacino idrografico del Piave; naturalmente
gli effetti del dilavamento, di queste discariche, si riflette poi sul corso principale del corso d’acqua,
e quindi passa anche attraverso poche centinaia di metri da qui.
Questa è la domanda di fondo: a 17 anni dalla Direttiva sulle acque e a 7 anni dal primo Piano di
gestione del 2010, il Piave rimane un ammalato grave, anzitutto per l’eccessivo sfruttamento idrico.
Distinguiamo il bacino montano dalla pianura. Nel bacino montano, vedete questa macchia di giallo
e vedete queste linee blu e le linee rosse, si è venuta a costituire una rete idrica artificiale, con: 12
serbatoi artificiali; 2 laghi naturali, però modificati e ampliati; 200 chilometri di condotti, canali e
gallerie; 80 prese; 17 grandi centrali.
Una rete artificiale molte complessa, articolata, che si affianca intrecciandosi con la rete fluviale
naturale. Questo è il Piave che noi abbiamo ereditato dai nostri padri, vedremo fra un po’ che a questo “sistema Piave originario”, se ne aggiunge adesso un altro, cioè sta venendo avanti un nuovo
sistema di artificializzazione del bacino del Piave, e lo vedremo fra un po’.
In pianura la malattia del Piave, diciamo, è conseguenza della parte montana, ma anche di una
complessa rete irrigua artificiale, canali e tubazioni, che devia, in queste tre frecce che vedete qui,
che lampeggiano, che devia gran parte delle portate del Piave al di fuori dell’alveo, per motivi
diciamo legati all’irrigazione e anche, però, alla produzione di energia idroelettrica.
Quali sono gli effetti di questa malattia grave, di questa eccessiva artificializzazione?
Io qui ne ho ricordati alcuni veloci: L’interrimento dei serbatoi, qui vedete il serbatoio di Pieve di
Cadore che è un po’ il cuore di tutto il sistema; la qualità dei segmenti, dell’interrimento dei
serbatoi; l’incisione degli alberi, pensate che a Segusino, avevamo nei decenni del secolo scorso, a
metà secolo, una portata media annua di 88 metri cubi al secondo, è scesa a 27 metri cubi al
secondo.
Abbiamo come effetto l’erosione costiera; i deficit idrici estivi; l’inquinamento; la riduzione delle
risorgive; e non dimentichiamo, gli effetti traumatici del passato, il disastro del Vajont, 1963, con
2000 vittime e l’alluvione, di cui parleremo dopo, del 1966. Attenzione che il disastro del Vajont, a
parte le 2000 vittime e la distruzione di città, come Erto, Casso e Longarone, ma il disastro del
Vajont è stato perché ha rotto l’equilibrio, ha rotto il sistema, ha privato il sistema della regolazione
del Piave, sistema artificiale molto sofisticato, lo ha privato di un volano di 150 milioni di metri
cubi d’acqua. E questo ha creato una situazione di crisi dell’uso delle acque e delle risorse idriche
del Piave, una crisi che, praticamente, si verifica ogni anno. Ogni anno, anche quest’anno, ne
parlavamo prima, soprattutto nel periodo primaverile ed estivo.
Ma quali sono le ragioni delle malattie del Piave? E quali sono i dubbi sull’efficacia di questo Piano
di gestione, fatto nel 2010 e aggiornato nel 2016?
Qui ci sono due tipi di colpe, io le chiamo, le colpe del Piano di gestione e le colpe della gestione.
Le colpe del Piano di gestione sono molte: la fretta, la lentezza, le difficoltà, ma fanno capo a due
argomenti. Il primo sono i monitoraggi, monitoraggi e le classificazioni dei corpi idrici.
Perché i monitoraggi? A parte che sono costosissimi, sono impegnativi al massimo, ma sono
cambiate le metodologie di campionamento, analisi e classificazioni in corsa, cioè il Piano del 2010,
è stato fatto con le regole di campionamento e di misura vecchi. Nel 2010, pubblicate nel 2011, il
Decreto Ministeriale ha cambiato le metodologie di monitoraggio in corsa. Cosa vuol dire questo?
Vuol dire che abbiamo perso, quanto meno, 6 anni, perché, come dire, siamo ripartiti da capo, cioè
quello che è stato misurato prima, non è confrontabile con quello che dice che è stato misurato 6
anni dopo, e questo è un aspetto fondamentale.
L’altro aspetto fondamentale sono le cosiddette esenzioni, cioè le proroghe e le deroghe che, non
c’è ombra di dubbio, lo dice anche la procedura d’infrazione comunitaria, sono eccessive e non
giustificate.
Quali sono le colpe della gestione? È evidente che a fronte di una pianificazione debole, la realtà
poi si muove in maniera non rigorosa, questa è una conseguenza logica. Le colpe della gestione
hanno ripreso le pressioni e gli impatti delle attività umane, che sono in crescita e siamo anche di
fronte, probabilmente, ad un deterioramento dello stato ambientale. Questo si chiama mini
idroelettrico, escavazioni in alveo, mancata revisione delle concessioni idriche, che alcune sono
scadute e andavano riviste.
Vediamo un po’, per esempio, il mini idroelettrico. Il mini idroelettrico riguarda, ma non solo, la
parte montana del bacino, ma non solo, e tutto deriva da una legge del 2009 sugli incentivi degli
impianti per l’energia da fonti rinnovabili, che ha provocato l’esplosione delle domande di
centraline. Questo ha dato luogo a quello che alcune associazioni, alcuni amici chiamano, il
“Sistema Piave 2”, cioè si sta creando un sistema artificiale Piave che va a sovrapporsi al “Sistema
tradizionale Piave 1”. È un sistema disordinato, fuori dai Piani di gestione, sono decine di nuovi
impianti, centinaia di nuove domande, secondo il Piano energetico regionale. Queste centraline
coinvolgono le reti fluviali minori, quelle non ancora intaccate dall’assalto delle pressioni tradizionali, in contesti ecologici paesaggistici non alterati, soprattutto in alta quota, con danno
irreversibile.
Voglio ricordare l’albero picking, cioè la variazione continua di portate per la produzione elettrica,
e questo crea un disastro idrobiologico. Il deflusso minimo vitale, certamente, non è sufficiente per
sanare questo problema.
Questi impianti non tengono spesso conto degli effetti cumulati, cioè decine di impianti di mini
idroelettrico che producono impatti ambientali, che spesso non sono stati messi nel conto.
Questo dà luogo ad un contenzioso, molti ricorsi al Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche e
anche ricorsi in Cassazione, molte volte, per esempio, le Associazioni ambientaliste hanno vinto
questi ricorsi, le sentenze hanno condannato le Amministrazioni su queste iniziative.
Ci sono anche delle critiche alla valutazione e alla classificazione dei corpi idrici del Piano di
gestione, che alcuni corpi idrici sarebbero stati sottostimati, proprio per potere intervenire con delle
azioni di impianti idroelettrici.
L’altra questione è la morfologia fluviale del Piave, pensate che negli ultimi 50 anni l’area di piena
da Fener a Nervesa, da Nervesa alla foce, questo è tutto scritto in letteratura e nel Piano stesso,
abbiamo una riduzione da 500 a 300 metri dell’alveo, in alcuni tratti il fiume da pluricursale è
diventato monocursale, mediamente abbiamo avuto un’incisione e un abbassamento dell’alveo.
Le cause principali, le dighe in montagna, ma anche le escavazioni, la causa principale viene
chiamata “la limitazione della funzionalità fluviale”. Le escavazioni sono riprese, nel 2010, dopo la
piena del 2010, e conseguentemente, ci sono molte polemiche sulla necessità di questi interventi,
sui criteri che hanno spinto a queste iniziative dell’Amministrazione, sui controlli, le famose
“sezioni di controllo” previste ancora dal Piano di bacino di 15 anni fa, non ne risulta essere state
fatte, le sezioni fisse, quanto meno non pubblicate. E tutto ciò ha un effetto nella celerità di
propagazione delle piene, sull’alimentazione delle falde, sulla ubicazione e la quota delle risorgive.
Il quadro che vi ho delineato, ha portato all’avvio di procedure di infrazione da parte della
Comunità Europea.
Ne ricordo due procedure: la Pilot6011, riguarda proprio gli impianti idroelettrici dei bacini del
Tagliamento, Oglio e Piave.
La Comunità Europea ci chiede informazioni, ci pone 24 quesiti: sui criteri di non deterioramento
dello stato dei corpi idrici; sui criteri del deflusso minimo vitale, sui controlli del deflusso minimo
vitale; sugli impatti cumulativi, ecc.
L’altra procedura di infrazione è la Pilot7304, riguarda tutti i Piani di tutta Italia, pensate.
Permangono carenze significative nell’implementazione della Direttiva Quadro Acque, dice la
Comunità Europea, pone 7 quesiti che riguardano incompleti monitoraggi, torniamo ai monitoraggi;
incompleta valutazione dello stato della qualità delle acque; mancata giustificazione delle esenzioni,
cioè le proroghe e le deroghe; i prezzi dell’acqua in agricoltura, ecc.
Questo è il quadro sullo stato ecologico.
Vediamo adesso l’aspetto, invece, del rischio di alluvioni. L’aspetto del rischio di alluvioni nasce,
naturalmente come riferimento dall’alluvione del novembre 1966, questa che vedete cerchiata in
rosso, è l’area di allagamento causata dalle rotte del Piave, in pianura, dopo aver distrutto tutta la
parte montana del bacino idrografico. Il Piave ha avuto 14 rotte arginali in pianura, 20.000 ettari
con una portata, che alla stretta di Nervesa, è stata stimata in circa 4.500 metri cubi al secondo. Ora
qual è il fatto? Il fatto è che in 50 anni dal ’66 ad oggi, non sto qui ad entrare nel dettaglio, ma la
risposta idraulica del bacino idrografico ad eventi idrologici, come quelli del 1966, la risposta
idraulica è peggiorata, cioè oggi, a parità di pioggia, avremmo maggior acqua nell’onda di piena, sia
in termini di intensità, sia in termini di volume.
Il suolo, le aree urbanizzate, sono incredibilmente accresciute, anche in alveo fluviale c’è un
interessante studio, a Longarone, della zona industriale creata, diciamolo, dentro il Piave, un
interessante studio del WWF.
Gli alvei di propagazione delle piene ristretti e gli incisi, l’abbiamo già visto prima, e il tratto
terminale, che continua a non portare più di 2.500 metri cubi al secondo, ma ne possono arrivare anche 4-5000, e dove va la differenza, la metà? Esce fuori. Esce fuori e questo è confermato. E’
confermato dal nuovo Piano di gestione del rischio di alluvioni, che ha fatto delle mappe, secondo
quello che dice la Direttiva Alluvioni. Queste tre, sono le tre mappe degli allagamenti probabili,
possibili, secondo il Piano di gestione delle alluvioni del 2016, e secondo tre scenari di probabilità,
tempo di ritorno di 30 anni; di 100 anni e di 300 anni, come dice la Direttiva Alluvioni. Questo è il
Piave e queste sono le aree allagabili in destra e in sinistra del Piave, secondo i colori diversi del
colore blu, sono dati dalla diversa altezza d’acqua. Vedete questo particolare, per esempio voi
potete vedere come una piena trentennale, qui in questo particolare, l’esondazione è modesta e di
profondità piccola… per 100 anni aumenta l’estensione dell’allagamento e la profondità dell’acqua,
con 300 anni aumenta ulteriormente.
Oltre alle carte degli allagamenti sono molto importanti le nuove carte del rischio, anche questo
previsto dalla Direttiva Alluvioni, dove il rischio è l’incrocio dell’allagamento e del danno ai beni,
quindi danno inteso come valore e vulnerabilità del bene stesso. Il rischio è colorato secondo
quattro categorie: R1, R2, R3, R4, rischio moderato, medio, elevato, molto elevato.
E queste sono le tre mappe del Piave, sempre nella parte giù, qui, associate ai tre scenari dei tre
tempi di ritorno, 30, 100 e 300 anni, visto prima. Come vedete, anche qui, 30 anni abbiamo colore
verde che significa R1, il giallo è R2, ma qui si intravede già un arancione, che è R3, la terza
situazione diventa molto più esteso.
Attenzione, vedete qui, in alto a destra, qui abbiamo, addirittura, R4, cioè il massimo di rischio, è un
problemino che hanno anche a Roma, adesso, col Tevere, col nuovo stadio.
Il nuovo Piano di gestione del rischio di alluvioni, questo è un passaggio molto importante, vado
verso la conclusione, perché è un Piano che, attenzione, dura 6 anni, non è che abbia destinato al
Piave grandi risorse, sì a livello di Triveneto prevede molte misure, nel caso del Piave 67 misure,
pochi soldi però, 67 milioni di euro, sono soldi destinati alla manutenzione. Quello che, invece, è
fondamentale di questo Piano, è che richiama e conferma il Piano Stralcio per la sicurezza idraulica
del medio e basso corso del Piave, quello che è stato approvato con DPCM del 2 ottobre del 2009.
È un Piano che, con una portata di progetto di 4.500 metri cubi al secondo, prevede varie cose, ma
le cose che ci interessano, fondamentalmente strutturali, nella portata di progetto di 4.500 metri cubi
al secondo, prevede due tipi di azione. Uno è l’adeguamento strutturale del tratto terminale, affinché
transitino almeno 3.000 metri cubi al secondo, rispetto ai 2.000-2.500, che passano adesso, l’altro è
la laminazione delle portate residue, per un volume di circa 40 milioni di metri cubi, laminazione
mediante la realizzazione di casse di espansione, realizzate nel medio corso del Piave. Questo dice
il Piano Stralcio, approvato con norma nel 2009.
Il Piano è stato molto sudato, molto approfondito. Che tipo di approfondimenti ha fatto? Anzitutto
ha analizzato le diverse ipotesi di opere strutturali, una è la sistemazione del tratto terminale
sicuramente, ma poi ha messo a confronto, proprio l’idea della Commissione De Marchi, di cui ci
ha parlato prima il professor Cucchi, della diga di Falzè, prevista dalla Commissione De Marchi, e
invece le casse di espansione. Dopo un’analisi dell’invaso di Falzè, il Piano lo ha bocciato, perché?
Rilevantissime incognite idrogeologiche; elevatissima permeabilità dell’area dell’invaso; impatto
ambientale; interruzione della continuità idraulica; alterazione morfologica e trasporto solido;
depositi; manutenzione continua; area di interesse paesaggistico, senza gradualità, perché l’opera
funzionerebbe solo a opera finita, e quindi anche l’efficacia idraulica sarebbe solo a opera finita.
Probabile e necessaria presenza di personale di gestione, perché si tratta di regolare degli scarichi di
una diga, in funzione della previsione della forma dell’onda di piena che è in arrivo.
Mentre invece il Piano ha sposato le casse di espansione; minori impatti rispetto alla diga, contenute
dentro l’alveo; no all’interruzione della continuità fluviale; funzionamento senza organizzazione,
senza gestione, senza personale, senza guardiania, cioè un approccio per gradi; vantaggi finanziari;
valutazione degli effetti; possibili adeguamenti nelle varie fasi; una distribuzione territoriale.
Infatti propone quattro ambiti il Piano stralcio. Propone l’ambito di Ciano; l’ambito di Ponte di
Piave; l’ambito di Spresiano; l’ambito Papadopoli.
Questo è stato ed è il Piano Stralcio della difesa idraulica. Siamo alla conclusione. L’anno scorso, nel 2015, una fondamentale legge in collegato ambientale,
parla esplicitamente che: “gli interventi, che vengono fatti su un corso d’acqua e su un bacino
idrografico, devono essere fatti in maniera da coniugare la prevenzione del rischio di alluvioni, con
la tutela degli ecosistemi fluviali”. Questa è la prima volta che viene scritto in una legge, “che sono
prioritari il ripristino della continuità idro morfologica longitudinale, laterale e verticale,
l’ampliamento degli spazi di mobilità laterale, le misure di rinaturazione e riqualificazione
morfologica”. Questa è legge dello Stato, inoltre la struttura di missione “Italia Sicura”, di Palazzo
Chigi ha, qualche mese fa, pubblicato le linee guida per le attività di programmazione e
progettazione degli interventi per il contrasto del rischio idrogeologico.
Cosa dicono queste linee guida? Sono su internet, vi consiglio di scaricarle, perché sono molto
leggibili e simpatiche, sono fatte a schede.
Dicono che “fra i criteri guida, per la progettazione degli interventi, per il contrasto del rischio
idrogeologico, anzitutto la valutazione degli effetti sull’ecosistema fluviale e ripario, la biodiversità
e la qualità delle acque”, questo, dunque, è il riferimento in cui ci si deve muovere oggi e in cui noi
speriamo che si muova la Regione Veneto, che ha dato avvio, mi dispiace che oggi non c’è il
rappresentante.
La conclusione è che non dobbiamo difenderci dal fiume, ma dobbiamo difendere il fiume, e che
questo progetto deve essere un’occasione sia per la riduzione del rischio, sia per la tutela e il
recupero dell’ecosistema fluviale, la destinazione di aree all’espansione controllata delle acque,
deve migliorare lo stato ecologico del fiume, coerentemente con le Direttive Comunitarie, le nuove
Norme Nazionali e le Linee Guida Governative. Grazie.